Mia madre è mancata da pochi anni. Era una grande fruitrice di TV. Guardava RAI 3, perché era di sinistra. Ricordo che una volta mi scoprì seguire un film su Canale 5, smise di parlarmi per giorni. E il film non era un porno.
Già, la televisione era così… si guardavano i canali, non i contenuti. A un ventenne potrà sembrare folle, ma funzionava così prima che arrivasse internet. Non sono state le tecnologie, il satellitare e il digitale, a cambiare le nostre abitudini, è stato internet. I contenuti sono diventati tanti, brevi, vari. Mentre si moltiplicavano i contenitori il loro significato si annacquava. Programmi veloci, fatti di pillole, trasversali ai canali e ai media. Un ragazzo oggi non guarda Dmax o Realtime, segue un flusso, un contenuto. Lo guarda indifferentemente in TV o sul proprio cellulare o attraverso la console di gioco. Il palinsesto se lo fa lui, senza alcun limite spazio-temporale. Guarda quello che vuole, come, dove e quando vuole. Netflix non ha fatto altro che rendere strutturali le abitudini di molta parte del pubblico. Si tratta di un cambiamento epocale, al quale dovremo adeguarci tutti, come fruitori e come produttori.
Tutto questo con buona pace dell’Auditel e di tante altre ricerche che ormai hanno solo più lo scopo di giustificare un mercato anacronistico e stantio. Pensate al concetto di “tempo speso” per media! Al 56% c’è la TV, al 15% internet, ecc… .
Al di là che “ricerca che guardi risultato che trovi”, la domanda da porsi è: che senso ha oggi questo tipo di misurazione? Il contenuto che quel determinato soggetto sta fruendo spesso è lo stesso! Chi se ne frega se lo guarda da una “scatola” o da un’altra? A un’ora o a un’altra? L’unico vero ragionamento da fare è come impacchettare il messaggio pubblicitario e legarlo indissolubilmente al contenuto, indipendentemente dal contenitore attraverso cui verrà fruito. La verità è che tutto è cambiato e noi stiamo ancora qui con i nostri vecchi numeri, fatti su misura per giustificare il costo della pubblicità televisiva o, semplicemente, per dimostrare che il sistema sta ancora in piedi, con le sue convenzioni rassicuranti. Ma il sistema in realtà corre e corre più in fretta della nostra capacità di adeguarci al cambiamento.
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