Parigi, Provenza, Spagna, Italia: queste le tappe del nostro viaggio in compagnia di Stefania Antonelli di Pencil & Moleskine. Oggi ci fermiamo a Amsterdam, Olanda.
Canal San Martin, la prima volta che l’ho visto mi ha ricordato Amsterdam.
Di Amsterdam, un momento preciso. Mentre con le mani sul manubrio, i capelli al vento e un cestino di tulipani e camelie avvolti nella carta, quella ruvida che col vento fa rumore di cicale, attraversavo il centro per venire da te. Mi aspettavi seduto con la punta delle scarpe a sfiorare l’acqua, una birra nella destra, l’altra mano nella tasca dei jeans. “Guardo la città nella sua ora più bella” mi dicevi quando ti vedevo assorto. Ti piaceva fumare appoggiato ai tralicci di legno e sentire la sera arrivare dal nord, accendere le luci, le lanterne e le candele, spegnere le voci dei turisti, far aprire i ristoranti e le bocche degli innamorati. Sfilavi un fiore dal cartoccio e spezzato il gambo, me lo infilavi dietro l’orecchio.
“Basta un profumo a imprimerti nella memoria un luogo” e Amsterdam con il mio olfatto ci giocava a scacchi. E vinceva sempre.
Città di fiume, città di spezie e fiori, buon vino e cioccolato. Era una babele di odori e sapori.
Mangiavamo succhiando la polpa di dell’aragosta dalle chele, spalmando burro e spezie sulla carne bianca e sorseggiando vino della casa mentre il sole calava sulle barche piatte.
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Poi la notte, Amsterdam accesa, le nostre pupille brillanti sotto il riflesso dei lampioni, mi facevi chiudere gli occhi e mi portavi in bicicletta da un estremo all’altro della città. Il cigolio dei pedali, la sella traballante, aumentavi di velocità nei vicoli stretti, piegando la schiena in avanti e sbandavi a ogni curva e io mi tenevo e tu mi dicevi: ti tengo io qui.
Per mano nei vicoli stretti, passando sotto gli archi e i portoni, mi facevi vedere l’Amsterdam che non dorme mai. I riflessi traballanti delle case, quell’artista che dipinge su un balcone, i tavolini all’aperto, un concerto improvvisato. Senti il suono di una tromba, le note di una cassa lontana, il battito di mani di amici in vacanza, il ticchettio nostalgico del tuo buonumore.
Le margherite d’aprile e una barca sul molo, ci lasciavamo trasportare dall’amore e dai battelli tra i canali. Una gita fra i navigli, un picnik a Vondelpark, un pomeriggio allo zoo, tra gli scimpanzé che sgranocchiavano finocchio fresco e i fenicotteri così ammassati da sembrare una nuvola rosa. Mi piace ricordare gli angoli nascosti, la musica jazz della terrazza, l’incantevole Begijnhof , un cortile del 1300 incorniciato da case in tipico stile olandese, un’oasi di bianca pace dove qualcuno mi parlò di miracoli, in un inglese stentato.
E poi quella mattina di pioggia in Piazza Museumplein, sotto un ombrello rosso, impaziente di vederlo finalmente dal vivo: il mandorlo in fiore dipinto ad olio su tela da Vincent Vang Gogh nel 1890.
Per chi ama questo pittore, la città olandese è un scrigno a cielo aperto. Avvolti dalle tele, dai petali macchiati, dai vortici delle nuvole e dai girasoli grassi, si respira l’odore della tavolozza ancora sporca, dei grumi di colore sui campi di grano, sui corvi in volo, sul suo famosissimo vaso di Iris su sfondo giallo.
La sera, tornavamo in hotel correndo, un’amica ci aveva consigliato una lista di alberghi HRS ed eravamo andati sul sicuro, scegliendo a occhi chiusi. “Hotel Victoire? Alexander? Conscious Vondelpark?” Alla fine optammo per il primo perché la stanza da letto aveva una parete decorata con la gigantografia di un bulbo porpora e perchè sì, ero un’inguaribile romantica e volevo dormire in mezzo a un fiore.
La mattina, tu omelette e pancetta, io pancakes e sciroppo d’acero, programmavamo la giornata scarabocchiando sulla mappa. Mettevi le croci qui, qui e anche qui e poi più a nord, passando da est e tornando a sud. Ti piaceva farmi girare la città, la testa e il cuore, pedalando, correndo, prendendo treni, metro e battelli senza fermarti mai.
Avevamo entrambi un biglietto speciale: direzione Amsterdam, fermata felicità.