CONTENT IS KING. Questo è quanto si diceva qualche anno fa. Quando in Italia ancora pochi parlavano di strategie di relazione sui social media, noi c’eravamo. Il miracolo di Facebook stava nella viralità organica dei contenuti, l’abilità dei community manager nell’intercettare contenuti di valore e farli propri.
ADV IS QUEEN
Ma i miracoli finiscono. Le logiche commerciali di Facebook hanno imposto ai brand, che nel frattempo avevano aggregato intorno a sé, migliaia e a volte centinaia di migliaia di persone, di pagare per poter raggiungere tutta la propria fanbase. Dalla content curation si è passati alla content creation e il ruolo dell’agenzia social è mutato. Non siamo più i pirati della comunicazione, siamo professionisti che man mano si sono abituati a gestire una forma più tradizionale di comunicazione: quella del messaggio e dell’amplificazione dello stesso. Qualche anno fa, dovevamo stare vicino alle persone per essere ingaggianti, oggi è il danaro a determinare l’ingaggio (per la maggior parte) e il messaggio torna ad essere necessariamente più “istituzionale”.
Ma non ci rassegniamo. Quello che abbiamo imparato in questi anni è a camminare su un terreno mutevole; ci siamo abituati al cambiamento, a guardare oltre la siepe. Un consulente social ha il dovere (e il piacere) di rilevare, elaborare e sottoporre ai propri clienti le tendenze che possono rafforzare una strategia digitale.
Mi piace elencarne alcune:
1. SMART DATA
In un sistema obeso, per quanto riguarda le informazioni e i contenuti, diventa importante non soltanto pensare a quali contenuti “buttare” nel web, ma quali informazioni “tirar fuori” dalla rete.
Viviamo nell’era dell’informazione, ma questa sta crescendo in modo esponenziale e il rischio è quello di perdersi in un mare di dati che non fornisce di fatto alcun valore. Diventano fondamentali i tool di analisi dei dati, delle conversazioni, del sentiment. Ma lo è ancor di più il cervello di chi utilizza questi tool.
Per anni abbiamo sentito parlare di BIG DATA. Oggi mi ritrovo maggiormente nel concetto di SMART DATA: proviamo a cambiare visuale e invece che partire dai dati, partiamo dagli obiettivi di business e marketing, restringiamo il cerchio e soprattutto non seppelliamo le intuizioni in report di 50 pagine che nessun cliente leggerà.
Il valore dell’analisi sta nelle azioni che da questa scaturiscono più che nei dati stessi.
Mappare le fonti più autorevoli, intercettare trend e talenti, fornire Insight al marketing. Queste le attività concrete che scaturiscono dall’analisi.
2. ADAPTATIVE STRATEGY
Mi piace molto il punto di vista di Simone Moriconi: Il ritmo del cambiamento (in tutti i settori, seppur a livello diverso) è serratissimo. Nuove tecnologie portano nuovi modi di comunicare, internamente ed esternamente; le pressioni competitive giungono da tutti i lati e non solo dai diretti concorrenti; i bisogni e le esigenze delle persone cambiano rapidamente secondo logiche spesso difficili da delineare e comprendere.
Se lo status quo è il cambiamento continuo, l’imperativo è l’adattamento costante.
La strategia per come l’abbiamo studiata e conosciuta a livello teorico non regge più. Non possiamo più immaginare una direzione da qui a 3 anni, e prevedere in anticipo che la strada intrapresa possa essere battuta “passo passo” senza considerare le opportunità che vengono dal cambiamento. Ecco perché l’adaptive strategy, ossia prevedere di cambiare rotta in corso d’opera, con continui adeguamenti strategici, è il primo elemento da considerare, sia che siamo un’azienda “classica”, che una startup (a maggior ragione) o un professionista.
3. OPEN INNOVATION
..NETWORKING, CONTENT COLLABORATION,
Sono tutti paradigmi che teorizzano una progressiva “apertura” dell’azienda verso l’esterno.
Vuol dire ad esempio coinvolgere la propria community, o community esterne, nella creazione dei contenuti, guardare a realtà innovative come incubatori e startup e valutarne partnership. Le stesse agenzie devono guardare al di là delle proprie competenze, assumere un ruolo più “consulenziale” e supportare i clienti nell’identificazione delle opportunità che possono nascere con un approccio “OPEN”.
4. CONSISTENZA
Le persone sono sempre più connesse e “distratte”. E’ sempre più difficile conquistarne l’attenzione.
Il social è un flusso vorticoso, la fruizione dei contenuti sempre più rapida e superficiale. Rimane un potente amplificatore ma da solo non basta.
C’ è bisogno di profondità e soprattutto di consistenza. I budget dei clienti non sono più quelli di una volta e le attività di comunicazione devono essere integrate.
Non concentriamoci sul canale quanto sul “flusso”.
5. OLTRE IL LIKE
Torniamo a parlare di Facebook. Penso che la naturale conseguenza dell’utilizzo sistematico del media adv su facebook rischi di portare a una progressiva perdita di efficacia dello stesso.
Dobbiamo cominciare a ragionare davvero al di là del like o del numero di fan di una pagina.
Ogni persona “colleziona” centinaia di like a pagine di ogni tipo e segue decine di brand o prodotti; Ogni brand “colleziona” migliaia di fan.
Abbiamo detto che l’attenzione delle persone oggi è rarefatta e ciò, anche in presenza di adv, rischia di portare a una risposta “meccanica” e superficiale agli stimoli di ingaggio.
Occorre pensare a nuovi modelli di amplificazione dei contenuti. Alcuni esempi:
– utilizzare l’adv facebook sperimentando modalità di profilazione del target più “evoluti” e smart.
– valutare partnership con community esistenti, sponsorizzando i contenuti direttamente sulle pagine partner
– potenziare le digital pr o meglio le socialpr: vip product placement, influencer engagement, infiltration e relazione continua con opinion leader (in questo caso parliamo di instagram e twitter più che facebook)
– coinvolgere e dare un ruolo effettivo ai fan più attivi e affezionati alla marca
Questo è un punto focale, e mi piacerebbe conoscere anche il parere di chi leggerà questo editoriale.
Insomma, la vita dei community manager e soprattutto di chi deve elaborare strategie digitali è dura. Citando una celebre canzone dei Queen, la sensazione è quella di essere sempre “UNDER PRESSURE”. Ma pochi sanno che questa canzone inizialmente fu chiamata “PEOPLE ON STREETS”. Sarà un segno? Forse la risposta è proprio lì, nel ricordarci che le persone le puoi ingaggiare sui mezzi digitali, ma per incontrarle devi scendere in strada…
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