Era il 2008. Ero a Cannes al Festival della Pubblicità. Stravaccato in una delle sale in cui vanno a nastro le pubblicità televisive in concorso. Una noia devastante. Poi compare lui: Mr. W(ind) un film realizzato per Epuron, un’azienda australiana che si occupa di energie rinnovabili. Mr. W è lì, sul grande schermo e parla con una voce quasi atona fissando un po’ nel vuoto. Il cervello va via e inizia a seguirlo, in una storia amara, triste, emozionante, immersiva. Un Frankestein di oggi immerso nell’invisibilità, che solo alla fine si riscatta e trova un ruolo nella società.
Mi precipito fuori dal cinema con una voglia mai provata prima di raccontare storie, come se quel film (ne fecero anche uno spot ovviamente, un 45”) avesse avuto la forza di strillarci che era ora di uscire dagli schemi classici, dalle batterie, dai formati.
Sono passati circa 8 anni e quel momento resta vivo perché da allora non abbiamo mai più smesso di raccontare storie, e l’abbiamo fatto attraverso i social, tutti i social, perché sono diventati lo strumento più democratico e quotidiano che esista per produrre emozioni e generare la stessa empatia che provai io quel giorno in quella sala.
Mr. W vinse un Leone d’Oro ovviamente e io una storia da raccontare.
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